Pietro da Talada

Pietro dei colori. E' finalmente uscito il primo e unico romanzo che racconta il mondo di Pietro da Talada

Una mattina della primavera del 1456, Peruzza, vecchia contrabbandiera del ferro e del sale, entra nel borgo di Talada, sull'Appennino emiliano; la segue una luna impassibile e l'inquietante presenza dell'ostessa, donna dai capelli rossi, spettro che appare e si dissolve, a tratti, tra le fronde. Peruzza arriva dalla Garfagnana e sembra nascondere qualcosa. In un crescendo di eventi tragici si inserisce Pietro, rapito anni prima a Talada dal brigante Noè e poi diventato un grande pittore grazie all'incontro con il cartografo frate Mauro. Il destino del Maestro di Borsigliana, Pietro da Talada, si intreccia con quello di Lucrezia Fina e di Orsola, mentre, dai cieli alle grotte, veglia la luna, che si materializza in misteriose statuette scolpite che ogni personaggio porta con sé, e che si rivelerà, nel finale, vera artefice della storia.

Pietro dei colori
di Albertini Normanna
Prezzo di copertina € 14,00
2016, 188 p. - Tra le righe libri

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Quando Fratel Arturo Paoli con Normanna Albertini raccontava Pietro da Talada

Fratel Arturo Paoli ha lasciato questa terra, ma non ci ha abbandonato. Tutt’altro. Oggi è il giorno della riscoperta dei tanti segni che ci ha donato. Tra questi un prezioso intervento che impreziosì il lavoro di Normanna Albertini su Pietro da Talada, il pittore del 1400, autore di splendide Madonne con bambino.
Oggi come omaggio vi riproponiamo quel saggio.

Maria, donna del Magnificat, mandata a cantare colui che viene a liberarci dall’orgoglio

di fratel Arturo Paoli

 “È impossibile pensare l’Incarnazione
e la redenzione senza la donna:
voce di Maria a Cana di Galilea:
fate quello che vi dirà;
voce della Samaritana:
venite a vedere un uomo;
voce della Maddalena:
ho visto il Signore.”

(Arturo Paoli – “Il sacerdote e la donna”)

 

Io sono un amante dell’arte, da giovane ho avuto un grande maestro che insegnava storia dell’arte a Pisa, Matteo Marangone, ma egli si interessava soltanto delle forme, dell’aspetto estetico, non di ciò che poteva esprimere un’immagine. Forse anche agli artisti stessi il soggetto, in realtà, non interessava: il popolo era religioso perciò ai pittori venivano commissionate immagini sacre. Ora, guardo la Madonna col bambino di Pietro da Talada e la prima cosa che noto è: qui manca Giuseppe. Perché?

Maria è rappresentata col bambino e, in altre immagini di altri artisti, Gesù è attaccato al petto di lei. Giuseppe, quando c’è, è lì come custode, non è mai in posizione di amico, di marito, ma sempre di protettore, di guardiano a cui è affidata Maria. L’interesse è tutto concentrato in lei. Anche liturgicamente, Giuseppe viene celebrato come il custode, il padre “putativo”, colui che difende la maternità. Da cosa viene tutto ciò?

È la cultura greca che ha pervaso la cristianità, è il punto di vista dei greci sul rapporto uomo/donna e sulla famiglia. I greci sono stati i più lascivi dell’umanità, però sono quelli che hanno considerato una debolezza l’amore e l’amicizia per la donna. Come viene valutata la moglie di Socrate nei dialoghi di Platone? Una bisbetica. Una donna intrattabile da cui egli si è dovuto difendere. L’immagine dell’uomo che i greci ci hanno tramandato è quella di un essere che non ha complemento, che è “a metà”. L’immagine di Gesù è quindi associata a quella della madre, però è importantissimo, ad un certo punto, che egli si “difenda” dalla madre, e succede quando dice: “Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli?”

Già a dodici anni, al tempio, aveva detto ai suoi: “Perché mi cercate?”

Il vangelo ci spiega questo: Gesù si emancipa.

Ho un ricordo di mia madre quando, a diciotto anni, mi disse che, da quel momento, dovevo uscire di casa ed imparare a cavarmela da solo. Mi ha aiutato ad emanciparmi. Da lei sono tornato sempre, e mi piaceva portarle dei piccoli regali. Ma lei mi ha spinto ad essere libero. La mancanza della figura del padre nell’iconografia è emblematica. Se Gesù, invece di essere visto come una vittima per placare un Padre arrabbiato, venisse visto come un modello da seguire, tutto sarebbe diverso. La venuta del cristianesimo e di Cristo nell’Occidente greco in un certo senso ha magnificato solo un aspetto sia di Gesù che di Maria, un aspetto trascendente. Il mondo greco è caratterizzato dalla ricerca di quello che è metafisico, cioè la ricerca del principio delle cose: le idee, per Platone, i prototipi per Aristotele. San Tommaso ha pensato il cristianesimo in questo schema, lo schema metafisico. Io penso che questo spieghi molto la crisi attuale e anche un po’ la crisi della Chiesa perché, praticamente, noi abbiamo vissuto un Cristo lontano dalla realtà e abbiamo interpretato questa presenza fisica di Gesù sulla terra come la presenza di una vittima destinata ad essere “macellata” per ottenere il perdono dal Padre per i nostri peccati. In questo modo, sono stati creati tanti, ma tanti equivoci. Il primo equivoco è che ora ci troviamo una civiltà cristiana totalmente lontana dai principi veri del cristianesimo. Praticamente abbiamo detto: “Gesù ha scontato i peccati per tutti e noi, in qualche modo, attraverso una lacrimetta, riusciamo a salvarci l’anima senza troppo impegno perché Lui ha già salvato l’anima di tutti.”

In base a questo principio abbiamo creato tutti i dogmi di Maria, che entra in questa visione metafisica, mentre avrebbe potuto essere veramente la donna emancipata, la donna liberata, quella del cantico del Magnificat, invece è stata vissuta (ed ancora oggi è vissuta) un po’ unicamente come “lontana”. Sia Gesù che Maria sono stati messi troppo “lontani”, perdendo, secondo me, il valore di essere veramente i prototipi dell’Uomo e della Donna. Gesù non ha “pagato per noi”, Gesù ci ha preceduto. Le persone sono rimaste ammalate dell’Hýbris (termine greco per "tracotanza", "eccesso", "superbia", “orgoglio”, "prevaricazione"), tutte, non guarite dall’Hýbris, mentre Gesù è venuto per guarirci da questa malattia, da questo peccato originale vero che è il nostro orgoglio.

Il continente cristiano è stato l’autore, in neanche cinquant’anni, di due guerre sanguinosissime, chiamate guerre “mondiali”, (e noi diciamo mondiali quasi per vantarci), e anche oggi la terra cristiana, attraverso i progetti industriali, tecnici, attraverso il capitalismo, è al centro della divisione e della discordia nel mondo. Quello che avrebbe dovuto essere il centro della redenzione, della salvezza dell’uomo, della liberazione vera che Gesù ha vissuto per primo come modello nostro, è diventato il centro della discordia, della divisione, delle guerre. La pagina del Magnificat come liberazione dell’uomo è totalmente sparita, invece è proprio quella che vale. Che cosa ha fatto Gesù?

“Ha deposto i potenti dai troni, ha esaltato gli umili”, poi, invece, che cosa è successo?

È diventato “il Redentore”, quello che ha liberato tutta l’umanità simbolicamente, tuttavia l’umanità non ha seguito questo. L’umanità l’ha adorato come colui che ci ha liberato dal peccato originale, peccato che, invece, ci portiamo addosso tutti tranquillamente. È come se uno ci venisse a liberare da un’epidemia, però si liberasse lui soltanto, e questo a noi bastasse. Ha già fatto tutto, ci ha messo la tessera del paradiso in tasca; basta pregarlo, basta credere in Lui… e non imitarlo! Non accettare la liberazione nostra, che avviene soltanto attraverso il deserto, attraverso la passione, l’accettazione. Il matrimonio, per esempio, la coppia umana, dovrebbe essere la dimostrazione basica, dovrebbe essere l’esempio di questa liberazione, invece è proprio tutto il contrario. Ognuno dei due, ad un certo punto, va per conto suo, non ascolta l’altro, si fissa sulle proprie ragioni, sui propri interessi. Questo perché l’uomo e la donna non sono stati davvero liberati.

Tutto quello che ha fatto Gesù sulla terra è stato divinizzato, è diventato metafisico, fuori dal mondo: Gesù è visto come il nostro Salvatore e Redentore, ma non come il nostro modello. Infatti Charles de Foucauld lo chiama “il modello unico”. Padre Foucauld, diventato prete, non va a fare il missionario fra i cattolici, va tra i musulmani, dicendo loro: “Quello che dovete fare è vivere come fratelli, volervi bene”.

Ai cristiani tu non puoi predicare questo perché secondo loro Gesù ha già fatto tutto, ci ha dato il biglietto d’ingresso per il paradiso, quindi, all’ultimo momento, basterà una lacrima: “Signore, mi pento”… ed è tutto fatto.

Siccome oggi, veramente, l’Europa sta crollando, allora si comincia forse a vedere con più chiarezza chi è Gesù. E quel che è successo per Gesù, vale anche per sua madre.

Maria, da “corredentrice”, chiamata alla sua sofferenza come madre che vede morire il figlio, viene vista come colei che ha partecipato più da vicino di tutte le creature delle sofferenze del Cristo e ha seguito il suo destino; come Gesù è implorato come il nostro Salvatore e non imitato come “il modello”, il modello dell’amore verso i fratelli fino a morire, così è per lei. Abbiamo interpretato il sacrificio di Cristo come i sacrifici alle antiche divinità: io offro un “altro” (poteva essere un animale) al mio posto per placare la divinità che è arrabbiata con me.

In questo modo il Padre aprirebbe le porte perché il figlio si è sacrificato per tutti, e non perché è stato “il primo di tutti”: questo è l’equivoco! Un equivoco che ci porta a bestemmiare davanti al dolore: “Perché mi fai soffrire?”

Invece il dolore, le delusioni, gli abbandoni, gli insuccessi, la povertà, sono la tua salvezza. … Quando si parla del peccato originale, cosa si vuol dire?

Michelangelo, quando scolpiva, affermava che fare una statua era un’operazione facilissima. Bastava levare il superfluo e la statua usciva, liberata. Ecco: questa è l’immagine precisa di ciò che dovrebbe essere l’uomo. L’uomo è l’immagine di Dio, però a condizione che si liberi. Ha l’intelligenza, ha l’amore, due facoltà che hanno bisogno di essere liberate.

La teologia della liberazione, sulla quale è stata messa una pietra, era stata un tentativo per arrivare a questo, ma non è rimasto ormai niente.

Io sarò un teologo della liberazione fino alla fine del mondo, un modestissimo, ultimissimo, poverissimo teologo della liberazione. Per quanto riguarda la donna nella Chiesa, dare il sacerdozio alla donna, e fare sì che lo viva come lo vivono oggi i sacerdoti, sarebbe un male ancora peggiore, un rimedio peggiore del male. Maria, la ragazza del Magnificat, è stata mandata per cantare finalmente colui che viene a liberaci dalla potenza, dall’orgoglio, dall’ Hýbris che viene dal “troppo”, dall’abuso delle tue facoltà, la testa e il cuore. Invece di usarle, se ne abusa, se ne fa una forza negativa da cui bisogna liberarsi. Anche la stessa spiritualità predicata ai preti: “Devi essere perfetto, devi essere superiore agli altri, non devi essere un poveraccio spinto dalle passioni…” alla fine genera delle depravazioni.

Invece, fin dalla prima giovinezza, una persona deve poter ragionare su dove mettere o indirizzare la propria affettività. Io ho scritto un libro su questo tema, “Il sacerdote e la donna”, e il primo editore, cattolico, a cui lo presentai mi disse: “Per carità, Arturo, non fare questa sciocchezza! Diranno che racconti cose tue, ma che in realtà non dici tutto.”

Invece, quel che avevo scritto era tutto, non c’era nulla di più o di diverso, e i miei fratelli di Charles de Foucauld di Spello mi dissero, al contrario, che andava pubblicato.

Anche l’altro mio libro “Camminando si apre il cammino” è scritto per parlare dell’importanza della relazione con la donna. L’amicizia, è l’amicizia che bisogna imparare, che bisogna predicare. La donna è un essere umano, non è una serva, la sessualità vissuta insieme dovrebbe essere il coronamento di un percorso d’amicizia, non lo sfogo di un bisogno. Tutto attualmente, invece, è entrato nella logica del consumo, anche le relazioni, anche la sessualità.

L’amicizia è la cosa da imparare. Bisogna insistere sull’importanza dell’amicizia uomo – donna, perché l’uomo, che sia prete o non prete, senza l’amicizia con la donna è incompleto. Io ho capito il mio voto di castità anche nell’amicizia con tante donne, nell’ascolto, nel dialogo con loro. Sento che questo manca in genere nei rapporti, nelle relazioni. Il ricco pensa alla donna come qualcosa da mostrare a riprova della sua potenza, della sua ricchezza; l’uomo povero la usa e la sfugge perché teme il suo sguardo. Non è che in altre culture la situazione delle donna sia migliore: io ho vissuto quattro anni con i musulmani e non ho visto cose più buone.

Una cosa che mi fa anche sorridere l’ho vissuta nell’estate scorsa. Oggi si usa il “navigatore”. Tutti gli anni vado in vacanza con un gruppo di famiglie nel reatino, la mattina mi alzo presto e vado a fare una passeggiata; un giorno un signore ferma l’automobile, scende e mi dice: “Scusi, per andare a… sono sulla strada giusta?”

Gli ho spiegato che stava andando nella direzione opposta. Lui si è fermato a parlare: la conversazione si è prolungata e lui si è quasi scusato, dicendo che se avesse avuto il navigatore non mi avrebbe disturbato. Allora io ho preso la palla al balzo e gli ho risposto che se avesse avuto il navigatore non ci saremmo mai incontrati, non avremmo incontrato un nostro “prossimo”. Avremmo perso l’occasione di instaurare una relazione. Tra noi, invece, si era intrecciato un dialogo che avrebbe potuto avere un seguito, trasformarsi in amicizia, cosa che di fatto è poi avvenuta. Certo, il navigatore è una grande conquista, la tecnica è cosa buona, che può, però, dividerci e allontanarci dalla prossimità.

Non ci fermiamo più a chiedere indicazioni, abbiamo quasi paura dell’altro: potrebbe essere un borsaiolo, un delinquente, chissà. Meglio lontani. Meglio evitare i rapporti. Ditelo, scrivetelo, predicatelo, diffondetelo: è l’amicizia che bisogna imparare, recuperare, vivere.

Cominciando dall’amicizia tra l’uomo e la donna.

 

Pietro da Talada. Un pittore del Quattrocento in Garfagnana
di Albertini Normanna
2011, 200 p., ill.
Garfagnana Editrice  
(collana Vallisneria)

       

Chi è il maestro Pietro da Talada, detto anche maestro di Borsigliana?
Il pittore nasce nel '400 a Talada, un antico borgo nel territorio di Busana, a pochi chilometri dal crinale appenninico che segna il confine con la Toscana, cui è collegato dal Passo di Pradarena.
In realtà non sappiamo quasi niente su di lui, ma si rimane sbigottiti di fronte all'incanto dei suoi colori. Cosa c'è di più periferico dell'alta Garfagnana?
"Terra di confini e di confino...".
Una terra molto legata al nostro versante del Crinale non solo dalla viabilità, i commerci, ma anche per qualcosa che probabilmente va cercato più indietro nella storia e che ha a che fare con la cultura, la religione, forse anche (perché no?), con il DNA degli antichi popoli che questa terra hanno abitato o colonizzato. In fondo Pietro da Talada, con le sue opere, ci trasmette qualcosa di quella storia. Come tutti i pittori, usa gli occhi per catturare e fissare dei messaggi sulla tela (la tavola, nel suo caso), questo nonostante l'imposizione dei committenti, e di fronte ai suoi quadri come si fa a non chiedersi cosa stesse accadendo al di fuori della finestra di quel quadro, aperta per noi dal pittore sul suo mondo e sul suo tempo?
Come ha imparato ad estrarre il suo rosso così brillante dalla Rubia tinctorum?
Come si è impossessato dei segreti della pittura?

Siamo nel 1496, in quella terra antica, sperduta, primitiva che erano gli Appennini. In quel contesto, un certo Joannes Calesblarius, signore di Soraggio di Garfagnana, gli ordina un capolavoro per la sua chiesa.
E poi a Borsigliana, un minuscolo villaggio tra i boschi e i campi dell'alta Garfagnana, Pietro dipinge un trittico di una bellezza straordinaria.
Lo si potrebbe definire allievo di Giotto, ma questi era vissuto cent'anni prima.
Tanti davvero i misteri che avvolgono Pietro da Talada, "scoperto" solo alla fine degli anni '80, e oggi oggetto d'interesse da parte di tutto il mondo, dato che l'unico saggio su di lui è persino sbarcato negli Stati Uniti d'America, nella prestigiosa Columbia University.
Il saggio, da me curato, edito dalla Garfagnana editrice, e che vede in primo piano Fratel Arturo Paoli, Mario Rocchi, Andrea Giannasi, Umberto Bertolini, Gianluca Farusi e Pierdario Galassi, era stato presentato al Salone Internazionale del libro di Torino nel 2011, ed è stato adottato pure dalla Toronto University.
Ma il progetto su Pietro da Talada, che vuole anche sostenere e ripristinare gli antichi rapporti tra i versanti toscano ed emiliano dell'Appennino che, nel '400, erano parte del ducato Estense, è proseguito e sabato 3 marzo a Modena, nell'ambito del Festival del libro BUK, si è tenuta la conferenza stampa dove è stato presentato il nuovo sito internet www.pietrodatalada.it che conterrà l'opera omnia del pittore con interventi di prestigiose firme del mondo della storia dell'arte e dei costumi del 1400 e 1500.
Pietro da Talada dunque non solo come pittore ma come uomo immerso nella realtà delle Terre del Serchio, di cui diventa davvero la migliore espressione artistica.
Pietro è pittore delle Madonne "mamme" e maestre che insegnano a leggere e scrivere ai propri figli e che ci fanno scoprire ancora oggi la sensibilità di un artista ma anche la cura dei committenti delle comunità locali.
La galleria d'arte naturale delle opere di Pietro fonde insieme Borsigliana, Capraia, Corfino, Casatico e tutta la Garfagnana.
Nelle prossime settimane riveleremo alcuni dei tanti misteri che avvolgono la pittura di Pietro da Talada. Misteri conservati nel Trittico di Borsigliana.
Ad esempio: perchè quella COSTRUZIONE OTTAGONALE SOTTO I PIEDI DI MARIA?
Il numero 8 fu importante soprattutto nell'arte Cristiana per il significato di questo numero come si enuncia nelle parole di Sant'Ambrogio:
« [...] era giusto che l'aula del Sacro Battistero avesse otto lati, perché ai popoli venne concessa la vera salvezza quando, all'alba dell'ottavo giorno, Cristo risorse dalla morte »
(Sant'Ambrogio, IV secolo d.C.).

Ma di questo e altri misteri avremo modo di parlare più avanti...